L'impressione è che settembre - UNO E DUE


L'impressione è che settembre sia sempre un mese di passaggio. Non è finita l'estate, non è ancora arrivato l'autunno, eppure le giornate alternano schizofreniche brividi caldi e temperature frizzanti. Non si tratta di un caldo e di un freddo netti, precisi, definiti. Il caldo è sempre un po' inficiato da punti d'ombra non più refrigeranti ma carichi di quell'umidità pungente che penetra la pelle e ti costringe a indossare il primo pullover della stagione. L'aria non è più densa di quell'afa spessa e che scolorisce i colori delle case, delle colline e del cielo: il cielo è brillante e il sole acceca, ma non scalda più come prima.
È un mese di passaggio, settembre. E forse è il mio mese preferito. Ha questa gentilezza, settembre, ha la gentilezza di elencarti – e prometterti – tutto quello che sarà l'inverno. Ti promette freddo e sciarpe e colli alti, zuppe sul fuoco e latte caldo di sera, prima di andare a dormire. Ti promette il vento forte che denuda gli alberi e piega i fusti e quel sole alto e bianco che, con un po' di tramontana, asciuga il bucato in men che non si dica. Ti promette pantofole, divano e coperta – e correre da una parte all'altra della città con le guance rosse e il fiatone, sotto l'ombrello, gli stivali alti e le pozzanghere che rischiano di diventare ghiaccio. Settembre è un assaggio - e tutto il bello di questo mese è nel pregustare il tepore invernale delle giornate in cui puoi stare assieme a chi ami, magari a sgranocchiare castagne, a bere un caffè bollente, a lavare i piatti di una domenica abbondante, mentre affondi nel letto e fai chiacchiere da dopo cena pieno di coccole. Settembre è quando versi nel calice vino rosso d'annata: e, prima ancora di berlo, lo lasci roteare nel cristallo e lo assapori con le narici.

Anche quest'anno settembre mi ha promesso qualcosa e io già ne immagino il sapore.
Mano nella mano, io e lei. Appena usciti dal Comune della nostra città. Un silenzio penetrante, un pensiero fisso, emozione e leggerezza nel cuore. Forse, non è proprio settembre a prometterci qualcosa. Siamo stati noi due a farci una promessa. E – ovvio – abbiamo intenzione di mantenerla.
Questa promessa passa per tanti passi, ancora. Molti sono già stati percorsi. Altri verranno. Alcuni si nutrono di immaginazione fervida. Pranzo, cena, ospiti, foto, video, fiori, regali. Altri ancora devono passare, per forza di cose, attraverso la riflessione: perché all'improvviso potresti trovare tutto immotivato e inutile e decidere di lasciar perdere. E invece no. Serve tutto. Serve anche l'impalcatura.

Ad esempio, io e il mio vestito.
Per uno come me, non troppo abituato a vedersi con indosso il completo elegante, scegliere un completo firmato e che ha uno scopo di non poco conto è stata quasi una questione esistenziale. Filosofica, direi. Un percorso.
Sono tutti lì, mia madre, sua madre, mio fratello e lei. Sua madre commenta pacata. Mia madre tenta di sistemarmi colletto e cravatta, con il solito istinto materno di vestirmi, anche se i trent'anni li ho superati da un po'. Mio fratello, gambe accavallate e pugno chiuso davanti alla bocca a pensare al miglior taglio per il mio fisico. Mio fratello si alza, mi tocca le spalle, fa scivolare le mani lungo la schiena e prende le misure della mia vita e dei miei fianchi: questo è troppo lungo, questo è troppo corto, questo è troppo vecchio, questo è troppo nuovo. Io sbuffo. Lui si diverte a farmi da personal stylist, serio, serissimo se si tratta di abiti. Sbuffo – e all'inizio penso che un abito è solo un abito. Mi volto appena e vedo lei, la mia lei, seduta sul divano a mordersi il pollice per controllare il caos di emozioni e persone che la attraversa. Agita le gambe, non dice una parola e io aspetto solo un suo sussulto, per scegliere. Penso, ora: se fosse solo un abito, perché mai l'avrei portata qui, a sceglierlo, ad aiutarmi a sceglierlo? La risposta è chiara, cristallina come le giornate di sole settembrine: l'ho portata perché non è solo un abito. Perché dietro quest'abito c'è un sì – davanti allo stato o a dio, qualunque sia il sapore di questo sì – ma è un sì che nasconde un impegno, è un impegno reale, è un impegno vero, c'è un mucchio di scartoffie da presentare, da richiedere, da firmare, da far pubblicare, ci sono dei timbri, dei bolli, delle piccole tasse da pagare – sì, burocrazia. Ma più maneggi carte e più ti accorgi che la cosa è vera sul serio. Che un giorno, tra duecento anni magari, qualcuno aprirà un registro e leggerà che io e lei abbiamo deciso di essere una famiglia, i nostri due nomi saranno uniti, oggettivamente uniti, non saranno solo due iniziali con un cuore scarabocchiate su un banco all'università, cancellate dall'alcool denaturato della donna delle pulizie. È vero: potremmo uscire una mattina, io e lei, jeans, scarpe da ginnastica, maglietta che forse meriterebbe un giro in lavatrice – e potremmo mettere due firme, con due passanti scelti per testimoni e risolverla così, senza troppi fronzoli. Il punto è: se il fronzolo non è vuoto allora non è più un fronzolo, è necessario. Se sotto il mio abito da sposo da passerella ci sono una pubblicazione e una promessa e due nomi uniti in un ufficio di stato civile, allora che abito da passerella sia. Chi, più di me, può festeggiare?
Indosso un abito particolarmente comodo e particolarmente avvitato. Mi fa le spalle larghe, mi sta da dio. Mi volto. La guardo. Le sue iridi baluginano, umide, silenziose, e allora dico: prendo questo. È l'abito con cui ti dirò sì, penso. E, se ti emoziona, è l'abito giusto.
Questo è il percorso che ho fatto. Un'altra tappa.

E ora, con le mani strette a passeggiare sotto le querce del viale in centro. È durato tutto cinque minuti, in quell'ufficio. Non siamo ancora sposati, ma quasi. Non siamo marito e moglie, ma quasi. Non è ancora inverno, ma quasi. E ce ne stiamo muti. Perché è come se stessimo cambiando il nostro status da studente a laureato. Il giorno della laurea, anziché infilare pantaloni sdruciti come si fa per un qualunque esame, indossi il completo elegante. Perché sai che è diverso, perché sai che l'abito, in quell'occasione, non è un involucro, ma rappresenta quello che sei e stai diventando.

Ce ne stiamo muti, sì. Ibridi eppure emozionati.
Non dici nulla? - le chiedo
Prendiamo un gelato? - risponde.
Sorrido, la avvicino a me e ci incamminiamo verso la gelateria, abbracciati, col passo ritmato, all'unisono. Le stampo un bacio tra i capelli.
Come dice quella canzone? Come fa il verso di quella canzone? Sono solo, sono il suono del mio passo.
Eccolo, il mio passo, in questo giorno di settembre, né caldo, né freddo, né estate, né inverno. E poi, un istante dopo, arriva il suono del mio passo, che però non è il mio. È il suo. È un camminare all'unisono: che mi ricorda che il passo, per essere uno, ha sempre bisogno di due gambe che si incrocino. 


Short Story by ©Veronica Mondelli - Tutti i diritti riservati
Immagine: Gustav Klimt, Amanti, 1908
Soundtrack: Marlene Kuntz, Impressioni di settembre (cover della canzone originale della PFM)

Commenti

lebibliophile ha detto…
Very nice!
Ma non ci hai detto niente della cravatta: argentata? regimental? rosso bordeaux? è fondamentale, cazzo!
Veronica ha detto…
Vero, vero. Ma la cravatta era talmente bella, che lui neppure l'ha vista, guardandosi allo specchio: l'ha quasi data per scontata, tanti erano i pensieri che gli frullavano per la testa ;).
Kris Kelvin ha detto…
Bel racconto. Anche per me settembre è il mio mese preferito... sarà perchè sono nato io :) scherzo! Mi piace settembre perchè non amo l'estate, e a settembre ricomincia tutto, ricomincia la vita vera: il lavoro, il cinema, le passeggiate in centro, il campionato di calcio. Finisce il caldo afoso e rimetti il maglione, torni a frequentare le persone vere, quelle che ti vogliono bene.
Settembre è il mese della rinascita.

https://www.youtube.com/watch?v=fCDBrC_gwuc
Veronica ha detto…
E allora buon compleanno!!
È vero, settembre ha una magia particolare: per molti è solo la triste fine dell'estate, in realtà questo mese nasconde un'atmosfera particolare, fatta di sfumature a volte impercettibili, che, però, sono preziosissime.
Grazie per il commento e per la canzone ;).
Unknown ha detto…
Le coincidenze della vita. Impressioni di settembre della pfm è stata la colonna sonora dei primi giorni di fidanzamento con mia moglie. Il racconto si fa sempre più avvicente e bello. Alla prossima puntata
Veronica ha detto…
Evidentemente c'è un fil rouge che lega due generazioni... ;)
Maria D'Asaro ha detto…
Mi è piaciuta molto la parte in cui, con pennellate delicate e azzeccate, tratteggi settembre come mese di passaggio, anche se per le mie latitudini il mese di passaggio è ottobre (talvolta novembre). Mi piace l'impegno della coppia, traguardo nè facile nè scontato ... Grazie. Alla prossima. Complimenti per il tuo stile così avvincente.
Vele Ivy ha detto…
Che bello, finalmente si sono fatti la loro promessa. Sono contenta, ormai mi sono affezionata a questa coppia :-)