Natale #1 - ATTESA - Atto primo



Scosto le tendine della finestra sul lavello e mi perdo nel giardino dove sono cresciuto. Non ho ricordi ben definiti, più che altro linee tirate a matita e poi sfumate col dito. Il dito è nero, il foglio si offusca sotto una nebbiolina grigio-cenere, lavi le mani, il nero sul pollice svanisce, rimane solo il foglio con la sua nebulosa. Più sensazioni che ricordi definiti. La sensazione più insistente è quella del Natale. Non un Natale preciso, non una sequenza scandita degli anni. Solo un grande immenso Natale, la summa di tutti i Natali. E in questo mio personalissimo e inesistente Natale io ho cinque anni, apro il regalo di mio zio e dentro trovo il primo rasoio da barba, la poesia detta in piedi sulla sedia, mamma che ha trent'anni, mamma che ha cinquant'anni, la nonna che sforna le ricette della mia infanzia e un giorno, della nonna a Natale, rimangono solo le ricette e l'inseguire un sapore che non tornerà più, papà che aggredisce il torrone miele mandorle e ostia come se fosse un blocco di granito, papà che continua ad aggredire il torrone miele mandorle e ostia mentre dice Non ce la faccio più – io – dovresti farlo tu che sei giovane. Poi, nel mio Natale climax di tutti i Natali, c'è lei. Lei che prima è una bambina e apre la casa delle bambole con gli occhioni sbarrati pieni di commozione. Lei che mi fa il suo primo regalo a tredici anni e io, insulso maschietto preadolescente, non le ho regalato nulla. Io che corro dall'altro lato della casa, stacco un po' di vischio dalle decorazioni di mamma, un cioccolatino, un torroncino, un bigliettino con scritto Auguri e poi – lo faccio: traccio veloce su un foglio stropicciato il mio primo disegno pubblico. Non ho mai fatto vedere a nessuno i miei disegni. Mi vergogno a dire che so disegnare e che voglio studiare e migliorare. Ancora non so come si chiami la scuola che voglio frequentare, ancora non so nulla, ma nella mia vita voglio disegnare. Ecco, lei ha visto il mio primo disegno. È un suo ritratto un po' sbilenco, ma le piace. E continuano i Natali – allo stesso tavolo ci sono io a quindici e a diciotto anni, il diploma al liceo artistico e poi i venticinque anni, l'Accademia, una fidanzata nuova almeno ogni due natali, ad un certo punto non porto più nessuno. Lei è seduta di fronte a me e cresce come me, un fidanzato, poi no. Questa è la volta in cui le regalo una catenina e lei, ridendo, mi regala una catenina. Siamo solo amici, i nostri genitori sono solo amici, da sempre. Siamo solo amici ma penso che questo scambio involontario di catenine sia una sorta di nostro primo bacio.
Poi succede qualcosa.
Io vado via di casa. Vado via dalla mia città. Di pittura non si vive e vivo di grafica pubblicitaria.
Poi succede qualcosa che mi fa allontanare per quasi cinque anni da casa mia, dai miei Natali e da lei.
Non torno per nessuna festività. Non torno proprio più. I contatti telefonici si diradano. Sparisco. Solo ogni tanto lancio mie notizie, sporadiche ma mirate, ben precise. Le annuncio a mia madre che poi le spiffera a mio padre, ingigantendole – e le voci su di me arrivano a lei dense di invenzioni paradossali. Ma va bene così.
Un giorno mi alzo, chiamo mia madre e le dico Da oggi voglio essere come Van Gogh. La mia è una sorta di performance destinata solo alla famiglia. Una gigantesca pantomima, che per tutti, però, deve apparire vera.
Mi converto prima al protestantesimo. Non mi faccio pastore, come Vincent, continuo a fare il grafico, ma mi butto in mezzo ai disperati da aiutare. Il misticismo performativo dura sei o sette mesi. Abbandono tutto. Chiamo mia madre e interpreto scene di una pazzia destabilizzante e crescente. Mando qualche foto. Non mi taglio l'orecchio, ma mi procuro uno squarcio poco sotto il lobo. Poi è la volta dello scatto con altri artisti, scrivo dietro alla foto Sto bene con loro, ma sto male. Un male incauto mi cresce dentro, scrivo. Sono depresso, euforico, poi cado giù – scrivo.
Non è vero, non sono pazzo. Voglio solo che mi credano tale. Perché faccio questo è semplice. Voglio che abbiano paura che prema il grilletto. Che corra in mezzo ad un campo di grano, punti una pistola al petto e prema. Ovviamente non lo faccio e non lo farò mai. Ma voglio che lo credano. Così si preoccuperanno per me, terranno a me come non hanno mai fatto per nessuno. Mi vorranno di nuovo a casa. Lancio altri segnali. Rifaccio il quadro del Campo di grano con volo di corvi. Ma il mio diventa Campo di grano con volo di colombe e, in una seconda versione, Campo di grano con volo di passerotti. Tolgo il nero, lo sostituisco con picchiettature rosse o bianche. Distendo i toni, il gioco è fatto. Mando entrambi i disegni a lei. Te li regalo, dico. Chissà se lo capisce. Chissà se capisce che non faccio sul serio, con Van Gogh. Ma che voglio solo avere diritto al mio futuro.
Perché quasi cinque anni fa è successa una cosa e oggi, per Natale, faccio ritorno a casa. Mia madre mi abbraccia come se fossi tornato dall'aldilà. Mio padre – addirittura – si commuove. Tutti respirano la mia fragilità e vorrebbero fermarmi e tenermi con loro il più a lungo possibile.
Torno a casa dopo quasi cinque anni ed è tutto uguale. Tranne che per un particolare.
C'è sempre lei, qui, con la sua famiglia. Lei che ora è una donna e, invece di attendere con me la mezzanotte guardando i pacchi sotto l'albero e cercando di scartarli con gli occhi, prepara la cena. Dico ai miei genitori: riposatevi, mi metto io in cucina. Ed è solo un modo per parlare con lei. In piedi, entrambi, di fronte al lavello, di fronte alla finestra e al giardino dove è iniziata questa storia. Entrambi muti, con le mani che puzzano di pesce, a pulire orate, vongole e molluschi e a osservare con stupore un enorme astice che si agita nell'acqua.
Insomma, c'è una cosa che ancora non vi ho detto ed è la cosa successa quasi cinque anni fa ed è anche il piccolo particolare che cambia per la prima volta il mio Natale. Ah, ed è anche la più grande differenza tra la mia vita e quella di Vincent. 
Io e lei abbiamo un figlio. Che ha quasi cinque anni. Ma lei si ostina a dire che non è mio.

Continua...

Short Story by ©Veronica Mondelli - Tutti i diritti riservati
Immagine: Jean-Frédéric Bazille, Riunione di famiglia (1867)
Soundtrack: Silence

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