Irreversible. Ovvero: speriamo che il tempo distrugga ogni cosa.

Ho recuperato la visione di Irreversible e forse avrei potuto anche evitarlo. Ma ormai il danno è fatto e per forza di cose cercherò di tirare fuori quel poco di buono che c'è.

Irreversible procede al contrario. L'inizio del film coincide con la fine della storia, mentre la fine del film coincide con l'inizio della narrazione. Non è un'operazione affatto nuova. Due anni prima di Irreversible era uscito Memento che, in egual misura, procedeva al contrario, dalla fine all'inizio, ma con intenti assai diversi. Irreversible e Memento fanno parte di quei film che stravolgono completamente il tempo e la linearità del racconto. Parecchio di Irreversible (e di Memento) discende, secondo me, da un titolo di Resnais degli anni Sessanta, L'anno scorso a Marienbad. Tempo stravolto, storia spezzettata, puzzle che si ricompone a fatica, ripetizioni mai identiche, onirismo, surrealtà, straniamento. L'anno scorso a Marienbad fu uno dei primi film a dirci che il tempo non è oggettivo o reale, ma un'operazione mentale e che il ricordo, legato al tempo, non è che finzione che si ristruttura di volta in volta in base alle nostre esigenze.

Irreversible e Memento hanno indubbiamente una loro peculiarità (tra l'altro condividono molti aspetti anche della trama), tuttavia in questa loro peculiarità qualcosa stona. Tra i due, Memento è il film che più fa affidamento sul rapporto mente-tempo e in cui il procedere al contrario ha una giustificazione anche nel contenuto – il protagonista ha una memoria a brevissimo termine e risalire al contrario alla foce degli eventi ricalca di sicuro il funzionamento mnemonico. Alla fine, però, quando si comprende come procederà Memento, il film comincia a stancare, diventa quasi meccanico, stucchevole, dal momento che propone pochi colpi di scena “formali”.
Irreversible, invece, sembra non avere alcuna giustificazione. Forma e contenuto solo in piccolissima parte si incontrano e si richiamano l'un l'altro. Si intravede – e intravede è il verbo più azzeccato – un'ora e mezza di violenza e sesso senza alcun filtro. Il regista gioca con una macchina da presa traballante e disturbante, che nei primi trenta minuti potrebbe far desistere la visione. 
La prima parte fa affidamento sul vedo/non vedo al locale gay, poi il punto di vista si fissa su una brutale scena d'omicidio. Dopodiché la mdp smette di tremare e rovesciare le immagini e mostra dieci minuti interminabili di inquadratura fissa sullo stupro ad Alex (Monica Bellucci); dieci minuti che risultano insostenibili tanto quanto quelli in cui la macchina da presa è così movimentata da indurre giramenti di testa e vomito.
A tutta questa violenza, ben visibile o invisibile che sia, c'è poca motivazione. Il film procede al contrario solo per dare meglio l'idea della tragicità di un destino che sin troppo si accanisce sulla persona di Alex, l'unica donna del film.

Sono riuscita ad estrapolare una sola riflessione che dà un po' di valore alla pellicola. In tutto il marasma di immagini confuse, c'è un punto fermo: Irreversible contrappone perfettamente maschile e femminile. Il maschile è violento, sadico, masochista, stupido, superficiale. Il maschio difende la sua femmina solo se questa viene aggredita e nel difenderla non è tanto diverso da un animale (più volte Marcus/Cassel è additato come “animale”). Anche nei momenti di tenerezza e amore, il maschio non ragiona con il cervello ma con un altro organo: nell'ultima sequenza, sì, dolce, tra i due amanti Alex/Marcus, lui le fa “amorevolmente” male mentre sono a letto; e sempre a Marcus viene in mente un'idea da sperimentare tra le lenzuola che propone ad Alex con parole non troppo fini – ed è ciò che effettivamente avverrà nella sequenza dello stupro.
Il femminile, invece, è quanto di più buono possa esserci. È innanzitutto bello. Il regista indugia sulle forme della Bellucci, ma non solo: indugia sul pancione di un altro personaggio femminile, pieno, rigoglioso, in attesa del parto. Alex è bella, è profonda, profonda perché in sé porta un bambino, ma per il maschio la profondità femminile si riduce solo al pensiero dell'organo sessuale. Le immagini finali che mostrano Alex sdraiata su un prato verdissimo, attorniata da bimbi e in preda ai suoi pensieri di maternità elevano la femmina a donna. Il maschio invece si comporta rasentando sempre l'animalità, l'istinto, il sudicio, il violento. Insomma, il maschio rimane maschio, ma con la sua brutalità (sia nell'odio che nell'amore) riesce a sovrastare quanto di bello, buono e giusto ci sia nel mondo. Il maschio rende la donna femmina e la riduce ad oggetto. C'è solo una piccola differenza: quando tra maschio e femmina scorre un “ti amo” (quello che Marcus/Cassel dice spontaneamente ad Alex/Bellucci e che lei ricambia subito), la donna accetta (seppur con qualche riserva, lamentandosi del poco romanticismo del suo uomo) di essere scherzosamente l'oggetto erotico del proprio compagno. A letto, due persone che si amano possono fare ciò che vogliono, ma l'erotico animale che nasce in un maschio può facilmente tramutarsi in violenza: il confine tra amore e violenza sessuale può essere molto labile. Rimane il fatto che mentre la Bellucci è sognante al pensiero di un bambino e in qualche modo diventa completa e autosufficiente, Cassel risponde, al pensiero di un figlio, con un “si può fare” (solo un piccolo inciso: la sequenza dei due amanti che si muovono tra camera da letto e doccia ricorda vagamente Le mepris di Godard. Ma lì c'era la coppia Bardot/Piccoli. Si sa che ai francesi piace citare...).
Il film è eloquente e generalizza troppo, specialmente sul maschio/uomo. Non c'è un personaggio maschile che non sia violento o che non pensi morbosamente al sesso o che non si esprima per insulti e cattiverie.
Insomma, vien da dire che, per fortuna, non tutti gli uomini sono così.

Il film, però, gioca su due aspetti a mio parere contrastanti: il concetto di irreversibilità e la frase “il tempo distrugge ogni cosa”. “Irreversibile” implica che non si può tornare indietro. Che non si può dimenticare. L'idea che il tempo distrugge ogni cosa, invece, comunica che si può azzerare e ricostruire. Tuttavia il film è reversibile: cioè è rovesciabile. Ma, nonostante questo, le cose non cambiano. Da qualunque punto si inizi la visione, le cose rimarranno sempre le stesse, Alex sarà sempre una donna incinta che viene stuprata e Marcus l'uomo che cercherà vendetta. E allora quale è la verità? Il tempo della vita è reversibile o irreversibile? Può essere distrutto? Probabilmente la verità sta nell'oggetto-film che, una volta girato, una volta impresso sulla pellicola, non è più reversibile. Può essere mandato indietro o in avanti, ma le immagini restano sempre quelle. Il film può essere distrutto – il ricordo no. Una pellicola bruciata equivarrebbe ad un buco nei ricordi. E questo è possibile? L'istinto di sopravvivenza ce la fa a distruggere un brutto ricordo? Alla fine Irreversible si autodistrugge: vengono mostrati alcuni minuti di – insopportabile – sfarfallio bianco dello schermo a indicare che la pellicola è finita. Meglio: che deve essere ancora impressa e che il film deve ancora essere girato. Sarebbe bello se il film non ci fosse mai stato, ma c'è. Così come sarebbe bello se ad Alex non fosse mai accaduto nulla.
Il fatto che Irreversible risalga al contrario dà un minimo di speranza: anziché lasciarci con un'immagine terrificante, ci lascia con un'immagine sognante e materna. Il film vuole che si ricordi solo il bello.
Ecco che torniamo all'inizio del nostro discorso. Dei film, così come della vita, si ricorda solo ciò che più conviene, sia nel bene che nel male (è la stessa cosa che fa il protagonista di Memento). Questo perché il tempo e i ricordi esistono solo nella nostra mente, definibile come una sorta di macchina che lega i fatti a proprio piacimento, tagliando, montando, ricostruendo e facendo della nostra vita una storia ben strutturata.
Ma Alex potrà dimenticare? E noi potremo mai riuscire a cavare qualcosa di buono da un film come Irreversible?

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